Controcultura Hippie nell’America degli anni sessanta

In piena era Hippie, erano gli anni sessanta, con questo celebre passaggio Jimi Hendrix (1942-1970) affermava la sua appartenenza a quella generazione postbellica. Erano gli anni dei figli dei fiori, «dell’eterno amore degli adolescenti per le prove, le sfide, le droghe; le orge e il dolore di sentirsi fuori dalla società; il rifiuto e al tempo stesso il desiderio di farne parte», scriveva François Truffaut (1932-1984) su «Cahiers du Cinéma».

Nella ballata If Six was Nine di Hendrix e nelle parole di Truffaut c’è tutta la contraddizione di quegli anni: l’esaltazione collettiva per un nuovo stile di vita che avanzava e al tempo stesso il desiderio di liberarsi addirittura da quello stesso mondo. Scriveva Leslie Fiedler (1917-2003) in Love and Death in the American Novel (1960), a proposito degli Stati Uniti, che l’evasione dalla costrizione del rapporto paritario con gli altri, dalla socialità o da una forma repressiva di civiltà, è una variabile costante e ricorrente nel percorso storico degli USA.

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Alessandro Beretta | Da «La Zanzara» a «Mondo Beat»

Mentre si attraversano anniversari politicamente caldi, tra il quarantennale del 1977 e i prossimi cinquant’anni del 1968, ecco che in città si può incontrare un libro che è, a suo modo, un’affascinante macchina del tempo. Si tratta di «1965-1985. Venti anni di Controcultura», imponente volume che raccoglie, in oltre novecento pagine, le avventure, le idee e le produzioni di tanti movimenti di contestazione italiani.

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